giovedì 31 marzo 2011

Privacy e cloud computing

Il cloud computing è una “tecnologia che va incentivata, ma dentro un quadro di garanzia” ed è in ogni caso necessaria una forte regolamentazione della stessa perché “le misure di sicurezza previste dall’allegato B) del Codice sono preistoriche”. È quanto ha affermato Francesco Pizzetti, Presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, intervenendo al Convegno “Global cloud computing, la “nuvola” di Internet, la privacy nell’era del cloud computing”, svoltosi a Milano lo scorso 16 marzo. Come noto, con il termine cloud computing si intende un insieme di tecnologie informatiche che permettono l'utilizzo di risorse hardware o software distribuite in remoto.Le principali criticità della “nuvola”, è di intuitiva individuazione, riguardano la sicurezza dei dati personali che una volta “affidati” a servizi cloud, sono archiviati in computer lontani, in altri Paesi, dove ad esempio  possono essere in vigore leggi sulla privacy meno severe di quelle europee.


Questo è l'inizio di un articolo molto ben fatto che potete leggere cliccando qui parte da fatti e informazioni puntuali e oggettive. Al Global Cloud computing come sapete ho partecipato per presentare il Cloud di Google e aiutare i presenti ad acquisire gli elementi necessari per la scelta di un SAAS come le Google Apps.

Il problema non è nuovo: i tempi del legislatore non sono i tempi di internet. Il cloud ha una complessità analoga a quella dei servizi bancari. Io non sono a conoscenza di dove siano i miei dati e i miei soldi ma il sistema garantisce che in qualsiasi momento ne possa disporre tramite l'utilizzo di un sistema tecnologico.

Il tema del trasferimento dei dati fuori dai paesi UE è un tema che già è stato affrontato per problemi analoghi a quello che propone il Cloud e come vi anticipavo oggi è regolamentato in un quadro organico e certo.

Sicuramente il tema riveste un importante punto di attenzione. Ma non è vero che oggi il Cloud è illecito come spesso viene affermato dalla stampa.

Leggo oggi su un portale che spesso ha pubblicato notizie imprecise che anche oggi ripete:

"Per esempio Google ha già affermato che non dichiarerà mai dove sono i suoi server. Anche perché, magari per ottimizzare le risorse, i dati possono essere conservati in server diversi a seconda dei casi. I contratti non possono bastare." Per leggere l'articolo è disponibile qui: http://goo.gl/z5W7B


Le cose non stanno così ha colpito la scelta di Google ormai di qualche mese di pubblicare sul proprio sito (http://www.google.com/corporate/datacenter/locations.html) dove sono i datacenter che utilizza per erogare i propri servizi. Sicuramente un passo importante nell'ottica di aumentare la trasparenza anche rimettendo in discussione alcune scelte industriali spero altrettanto possano fare quanti continuano a pubblicare informazioni imprecise.


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